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Abbiamo partecipato a Performing Media! per Estate Romana che dal 14 al 20 settembre ha messo in campo 14 interventi, tra walkabout, experience lab, performance e installazioni agite con sistemi di intelligenza artificiale.

Oltre ai walkabout (le esplorazioni partecipate radionomadi che caratterizzano Urban Experience), ci sono stati altri eventi  connotati da significative competenze drammaturgiche, capaci d’innestare nelle coscienze l’intimità di percorsi ad alto tasso emozionale.  the walkCome è successo con  il perturbante The Walk di Cuocolo-Bosetti  (ascolta nella mapparlante la conversazione con Renato Cuocolo, avvenuta prima della performance) che ha solcato l’Acquedotto Felice a Tor Fiscale, a pochi passi dal campo barbarico, dove tra i fornici sono ancora presenti i segni delle baracche che fino alla seconda metà degli anni Settanta hanno invaso tutta la zona, creando un “sottomondo” degradato, ma poi redento grazie anche all’attività coraggiosa di figure come Don Sardelli (vedi questo report di uno dei tanti walkabout in quel territorio). All’inquietudine di The Walk che evoca gli ultimi passi di un amico morto accidentalmente, lo stato d’animo degli spettatori viene così pervaso dall’inquietudine che quel luogo esprime in sé, come un sottotesto. L’attrice Roberta Bosetti che ci conduce in questo viaggio intimo, coglie dei dettagli e li innesta nella sua partitura drammaturgica, come quando indica un portasaponette nero, cementato sulla parete dell’acquedotto, rivelando che proprio lì c’era un bagno privato. Si inforca poi un sentiero in mezzo ad un canneto, mentre inizia a fare buio, per poi fare tappa sotto una galleria ferroviari dove veniamo investiti dal rumore dei treni che sferragliano, una colonna sonora di realtà, concreta, drastica. Quando la Bosetti ci lascia, lasciandoci soli a contare fino a cento, con gli occhi chiusi, ci risuona nella testa una di quelle frasi di cui è ricca quella drammaturgia desolata: “camminare è pensare”. Lo sapevamo ma quel tocco, con tale tono di perturbante drammaticità, insorge come un’epifania teatrale che investe nella qualità di una rivelazione che commuove.

altro sguardo

Altro modo, quello dei Silent Play di Carlo Presotto che hanno un’impronta pedagogica, ludico-partecipativa, come dei giochi di ruolo di caratura emozionale, in una palestra d’empatia. Prima di iniziare, ci controntiamo con l’autore Carlo Presotto nello spazio antistante la scuola di musica “Battiti”, incastonata sotto i portici dell0 stesso Acquedotto Felice, straordinaria infrastruttura ricostruita in soli due anni (1585-1587) dal papa Sisto V inglobando gli acquedotti Claudio e Marcio. Ci confrontiamo sulla metodologia, conversando-camminando fin verso il giardino che il comitato di Casilina vecchia ha rigenerato. Il Silent Play che qui trova luogo  è Sospesi (scritto da Presotto con Paola Rossi e che abbiamo già portato a Roma qualche anno fa) si basa su una modalità di performing media che esprime al miglior grado la condizione teatrale attraverso la partecipazione in un processo che simula la situazione complessa di un migrante che rischia di ritrovarsi ultimo tra gli ultimi. Nella dimensione immersiva dell’ascolto in cuffia ci si ritrova nei panni dell’altro, pronti a lasciare tutto per partire verso un’esperienza incognita. L’azione che gli spettatori intraprendono, guidati dalla voce-guida, li porta a misurarsi con la cognizione dello spaesamento. Si percepisce, in prima persona, come i comportamenti indotti  possano sottrarre l’identità e farci ritrovare nella postura tipica del migrante soccorso, semplicemente indossando o i giubbetti fosforescenti dei soccorritori o la coperta termica, con una bottiglietta d’acqua in mano.

L’altro Silent Play è Un altro sguardo, realizzato a Villa Lazzaroni, domenica mattina con una partecipazione che ha travalicato le prenotazioni. Qui la soluzione del gioco di ruolo diventa ancora più esplicita, in un gioco  dove si è invitati a guardarsi, rispecchiandosi nei gesti dell’altro, e a prendersi cura del partner occasionale, toccandolo (cosa che per molti è ancora un tabù, per via del paradosso pandemico). E’ un’operazione che deriva dal progetto  “il volto dell’Altro” realizzata per Caritas international in collaborazione con l’associazione Non dalla Guerra in occasione della Giornata mondiale della gioventù 2019 a Panama. Un gesto pubblico che lascia sconcertati gli ignari frequentatori della villa, assistendo a questo happening silenzioso che scuote le coscienze dei partecipanti, scoprendo come il teatro migliore possa essere quello che accade dentro, nella tua testa.

 

Nonna Moderna riprende il suo blog scegliendo Paesaggi Umani , svolto dal 29 ottobre al 19 novembre nell’ambito di ContemporaneamenteRoma2019, dove Urban Experience ha  fatto parlare Roma, camminandola e rilanciandola via radio, lasciando le tracce georeferenziate, realizzando una mappa parlante. E’ stata un’esperienza nel vero senso della parola, che ha azionato tutti i sensi e cliccando sui punti attivi del geoblog si possono ascoltare  i “paesaggi umani”, delineati sia dai protagonisti dei territori sia dagli spettatori-cittadini attivi che esplorando un luogo esplorano se stessi. Dai walk about non si esce indifferenti, c’è sempre qualcosa o qualcuno che ti fa aguzzare lo sguardo o le orecchie.

La conduzione di Carlo Infante punta proprio ad attirare la partecipazione creando sorprese e stupore nei partecipanti. E così anche ciò che ti sembra di conoscere molto bene, come la città in cui vivi, si anima di nuove sfumature.

Il paesaggio è la risultante di un luogo, non è solo un’impronta geologica ma un’autobiografia. Meglio, è come il volto di un territorio, una forma segnata dalla vita che scorre. E’ con questa convinzione che Urban Experience esplora i territori, rilevando le tracce di  chi li ha vissuti e attraversati, per rivelare il senso di quei luoghi interpretandone la trama. In una ricomposizione di quei “paesaggi umani” fatti di storie inscritte nelle geografie. La definizione che diamo a queste esplorazioni è walkabout per creare le condizioni abilitanti attraverso conversazioni peripatetiche tese a qualificare il coinvolgimento dei partecipanti. Per essere più precisi: si tratta di un format di innovazione culturale che si connota come “esplorazione partecipata”, utilizzando i media radiofonici e web per attivare quelle dinamiche interattive di cui è alimentato il performing media storytelling. La singolarità di questa progettualità, curata da Carlo Infante, è nello streaming via webradio che lascia traccia sulle mappe geolocalizzando la conversazione nomade in podcast che di fatto scrivono, parlandole in cammino, storie nelle geografie romane.

Storie come quelle che riguardano Sisto V, in vista del Cinquecentenario della nascita del Papa che rifondò Roma; quelle  nel dark side del Gazometro, nell’area industriale dell’Ostiense dove si è sviluppata nei primi del Novecento la Modernità della città; quelle dei bombardamenti del 1943 sciamando dal Tuscolano a San Lorenzo; quelle della Cava Fabretti  opificio di sampietrini riassorbito dalla natura selvaggia, a pochi passi dall’Appia Antica; quelle dei movimenti creativi del 1968 che hanno contribuito alla prima rigenerazione urbana a Tor di Nona; quelle delle apparizioni beckettiane di Piazza Vittorio che ritroviamo, reinventate da Consuelo Ciatti, al Centro Raccolta Rifiuti di Cinecittà; quelle recuperate negli archivi della Scuola Garibaldi al Tuscolano dove si sono trovati i registri di classe che testimoniano le discriminazioni razziali del 1938; quelle che abbiamo incontrato al Binario95 la “casa dei senza casa”; quella dell’artista senegalese Mokodu nel suo tragitto quotidiano tra Tuscolano e Pigneto, solcando il Mandrione; quella del nido d’amore di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini nella villa a Tor Carbone ora sede di un istituto alberghiero d’eccellenza; quella del Parco del Salute al S.Maria della Pietà che ha riscattato l’internamento manicomiale; quelle dei tesori archeologici scoperti con gli studenti dell’Anagnina; quella del complesso di Via Ramazzini rifondato e gestito dalla Croce Rossa; quella degli Uccelli, l’ala creativa del Movimento del 1968 in un docufilm che ne ripercorre l’avventura; quella della smart community di Centocè. Questo è il videoreport di Massimo di Leo in cui si ricostruiscono le diverse tappe di Paesaggi Umani.

Ed eccomi qui pronta a ripartire con un’altra esplorazione della città insieme ad Urban Experience. Questa volta il titolo è Paesaggi umani, un bel titolo che anticipa cosa si farà dal 13 al 26 settembre.estateromana18-paesaggi-umani-cover-300x225 Cammineremo per la città e incontreremo delle persone che vogliono saperne di più di quello che le guide dicono. Meglio: cammineremo dove ci sono le tracce di cammini precedenti al nostro. Ne faccio parte da quando è nata (nel lontano e vicino 2008) e da allora con Urban experience sono andata alla scoperta di Roma, per me e per molti una grande sconosciuta. Certo nei vari percorsi, che poi hanno preso il nome di walkabout alla Chatwin, abbiamo visto sopratutto le criticità di questa città “bella e gnocca” e ogni volta mi dico che andrò solo dove si vede il bello. Ma poi mi chiedo “cos’è bello?”. Una delle tante risposte: “bello è ciò che mi fa guardare in alto per vedere cosa c’è oltre il mio sguardo”. Beh allora Roma, esplorarla  e insieme all’esplorazione incontrare persone che la vivono e cercano di tenerla libera dai rifiuti e proteggono gli alberi e vogliono la felicità di chi la abita, si avvicina di più alla mia idea di bello. E con Paesaggi Umani, edizione 2018, mi aspetto di fare questo

In origine, ovvero eravamo nel  1700 in Europa,  era la tipica usanza di nobili e  ricchi per rompere la monotonia dei pranzi ufficiali: organizzare un pranzo in mezzo ai campi o lungo i fiumi. Allora i servitori imbandivano vere tavolate e come cibo veniva consumata la selvaggina appena cacciata. In seguito  è diventato per tutti il modo più simbolico, ma anche più gioioso, per aprire la bella stagione e pranzare in libertà. Da Pasqua fino almeno a Ferragosto quando con i primi temporali estivi si godono  gli ultimi giorni di vacanza dal lavoro, poi si riprende il tran tran post ferie. Sto parlando del pic nic (da pique, spiluzzicare, e nique,  cosa di poca importanza) ovvero la scampagnata fatta con amici e parenti   compresi i bambini “fuori porta”  cioè non molto lontano da dove si vive o  in un parco verde della città. Obiettivo: stare in compagnia divertendosi e mangiando.  Il pic nic, detto in dialetto anche “romanata” o “pranzo al sacco”, è facile ed economico. Gli ingredienti sono semplici e alla portata di tutti. Occorrono: tovaglia da stendere sul prato in modo da mangiare senza sedie, cibi adatti alla condivisione  tipo polpettine di carne o vegetali, insalate di cereali con legumi, frittate  e torte salate,  pane già affettato, uova sode, sottaceti, formaggi e salumi, verdura e frutta già pulite da mangiare con le mani.

Ebbene anche per questo clima informale che facilita le amicizie, il pic nic è molto popolare. Lo sa bene la regina Elisabetta d’Inghilterra che ne ha organizzato uno molto speciale per festeggiare i suoi 70 anni di regno. Queste le caratteristiche. Location: Buckingam Palace. Invitati: 12 mila ospiti estratti a sorte. Nel cestino ognuno ha trovato un impermeabile a poncho per la prevedibile pioggia e cinque portate tipiche della tradizione culinaria inglese: salmone scozzese affumicato;  zuppa fredda di pomodori con peperone, cetriolo condite con olio alla menta; insalata di pollo; Crumble di fragole; torta al cioccolato.

A parte questo esempio  regale,  il pic nic è alla portata di tutti ed è diventato occasione per  riflettere sul cibo a chilometro zero e sul non spreco alimentare nel rispetto della natura.  Come è avvenuto sulle colline bolognesi il 5 giugno 2017 per  la Giornata internazionale del pic nic per la decrescita. Qui bisognava portare piatti di ceramica, bicchieri di vetro, posate da casa per non fare troppa spazzatura e cucinare solo piatti locali.

Tra i tanti pic nic della mia vita ne ricordo uno coloratissimo nell’isola di Mauritius dove era stato creato un parco cittadino  con  tante Tamerici,  in fila come un pioppeto, a ridosso della scogliera sull’Oceano Indiano. Uno dei pochi spazi verdi destinato a  tutti,  lasciato libero dai grandi alberghi che hanno colonizzato ogni centimetro della costa mauriziana.  L’effetto paesaggistico era quanto mai strano, tipo natura addomesticata. Dettaglio poco  importante per le centinaia di persone  che intorno alle 12 a.m. hanno cominciato ad arrivare, stendere teli colorati a terra, tirar fuori thermos giganti, contenitori per cibo (ho sbirciato e ricordo soprattutto riso con avocado e alette di pollo fritte), piatti e bicchieri di latta alla maniera indiana. Contemporaneamente sono arrivati diversi carretti motorizzati, come  i nostri gelatai negli anni Sessanta,  anticipati da sonerie tipo trenino in arrivo e un profumo di zucchero filato ha invaso l’aria. Zucchero filato di vari colori, dal fucsia al verde,  che per  diverse ore fino al tramonto  ha fatto la gioia dei presenti. Zucchero filato colorato,  direi il piatto forte del pic nic domenicale a Mauritius.

Per non smentire il proverbio “paese che vai, pic nic che trovi”.

pubblicato in http://mondita.it/

Quando un amico mi ha detto  che a Cuba  avrei sicuramente mangiato “moros y cristianos”, ovvero riso bianco e fagioli neri, non avrei mai pensato che sarebbe stato il mio piatto quotidiano.  E invece è stato così dalla prima cena all’ultimo pranzo consumato a Varadero all’Esquina, una sorta di Trattoria all’Angoletto, come se ne trovano tante da noi: piene, a mezzogiorno, degli impiegati  pubblici nella loro pausa pranzo. Dunque “moros y cristianos”, un piatto unico realizzato con gli ingredienti del territorio, come nella cultura gastronomica mediterranea può essere la pasta cucinata con  vari condimenti.cuba25

Certo il nome la dice lunga del meticciato che si è creato nell’isola caraibica. Proprio a Cuba sono stati deportati i primi schiavi  provenienti dall’Africa per il lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. E sempre qui i neri africani hanno trovato i colonizzatori bianchi, portatori della schiavitù e della religione cattolica. Ecco qua, signori il piatto è pronto in tavola: moros y cristianos, neri come i fagioli, bianchi come il riso, insieme ma separati. Anche a noi è capitato di sceglierlo proprio la prima sera del nostro arrivo all’Havana nel ristorante dell’associazione sportiva di baseball  Los Nardos, che esiste dal 1907 e da allora è punto di riferimento degli Habaneri e del turismo caraibico. Noi facevamo eccezione tra i presenti,  ma non scalpore. E ci siamo adeguate alle usanze locali: fare la fila rispettando l’ordine di arrivo, scegliere nel menù i piatti tipici. Non solo riso e fagioli ma anche pollo, un altro piatto comune molto apprezzato in tutte le sue varianti.cuba 66

Da quando a Cuba si sono aperti al turismo, è stato dato il permesso di ospitare  nelle proprie case i turisti. Sono sorti così le case particolar, i nostri bed and breakfast, dove si può chiedere di avere anche del cibo cucinato, o i paladar cioè veri ristoranti che hanno come location  vecchie dimore coloniali o appartamenti con uno stile particolare e molto affascinanti. Anche questo fa parte del viaggio e alla domanda su come si mangia a Cuba, non si può rispondere senza dire dove si è mangiato perché molto spesso il piatto è quello e non si scappa. Ma la location fa la differenza. Così al Paladar La Guarida (un condominio sociale dove hanno girato il famoso film Freysa e Cioccolato) ci hanno servito in piatti di porcellana, anche se spaiati, il solito moros y cristianos e il pollo caramellato al miele. Cucinati in modo memorabile.  Come dire: qui a Cuba abbiamo poco, ma quello che abbiamo ha un gran valore.

 

Eneide di Krypton al Teatro Argentina di Roma

Quando vado a teatro ma anche al cinema o a una mostra, non mi preparo. Non leggo recensioni, non chiedo ad altri cos’è e com’è.

eneideCerco di andare con uno sguardo “vergine” , voglio essere presa dallo spettacolo e basta. Così è stato giovedì 23 aprile per “L’Eneide” di Giancarlo Cauteruccio-KrYpton. Non sapevo neppure che fosse uno spettacolo del 1983.  Allora a teatro andavo eccome, attratta dalle sperimentazioni e da tutto ciò che non era convenzionale, coinvolgeva forme e formule non usuali. Spettacoli che facevano vibrare il corpo e la mente, si avvicinavano alla meraviglia e ai dubbi con cui si guardava il mondo. Tra questi avrei scelto Eneide di Krypton, ma non lo avevo visto. Lo vedo adesso. Un “nuovo canto” ma dello stesso autore, gli stessi musicisti con musiche reinventate ma eseguite dal vivo. Penso che siamo più o meno coetanei, siamo tutti più vecchi ma sento in loro le mie stesse energie. Mi prende la stessa curiosità e meraviglia fisica che provavo trenta anni fa. Da subito, da quando le luci laser si dirigono verso gli spettatori e tutti siamo travolti dalle potenza delle onde in cui nuotava Enea e i suoi compagni in fuga dalla guerra di Troia. E penso ai miei nipoti ancora bambini e a quanto mi piacerebbe fossero con me a vedere questo spettacolo che usa con parsimonia le parole e con generosità musiche e immagini. Più di tanti discorsi, insieme capiremmo i naufraghi che fuggono da una realtà che non amano e sbarcano sulle nostre coste in cerca di altro.