Urban Experience batte la pista di una Roma Plurale, stratificata, multidimensionale, multiculturale, inclusiva (nonostante tutto). Sono in cammino dal 19 settembre (vedi il primo report), muovendosi da Monte Mario ad Acilia (vedi il secondo report) in un’esplorazione continua e senziente che il 17 ottobre si muove a Tor Tre Teste.

Portano con loro il libro Elogio del Tre di Vincenzo Luciani (editore di Abitare A Roma, magazine che ha sia segnalato sia commentato l’evento) un personaggio emblematico: incarna il genius loci del Parco di Tor Tre Teste in un’evoluzione urbana sviluppata negli ultimi decenni con un straordinario impulso dal basso.

Tre sono le Teste che appaiono nel bassorilievo scolpito su un sarcofago (un’opera funebre romana ritrovata in quella zona poi definita Tor Tre Teste); tre sono i quartieri che condividono il Parco: Tor Tre Teste, Alessandrino e Quarticciolo; tre sono le vele della chiesa dedicata a Dio Padre Misericordioso, realizzata dall’architetto Meier in occasione del Giubileo del 2000.

Hanno attraversato l’impianto di atletica e rugby Antonio Nori ragionando su come le attività sportive abbiamo mantenuto saldo il rapporto con quel territorio, battendo i sentieri con gli allenamenti podistici, facendolo diventare di fatto, nel tempo, un Parco Urbano. Si sale lungo un sentiero per arrivare al punto più alto del Parco prendendo  atto di come quella sterrata sia quasi impraticabile per i podisti. Da lì si coglie l’estensione dell’Acquedotto Alessandrino che sulla sommità s’interra: sono nel tratto della “mai nata passeggiata alessandrina” emblema di una promessa non mantenuta, come anche il mancato recupero dell’antica Cisterna romana. Da lì sono arrivati alla “distrutta” piazza dell’Acquedotto Alessandrino che appare come il fantasma di una delle Centopiazze rutelliane, inizialmente qualificanti (con una fontana mirabile ma ormai inceppata) e ora desolanti. Procedendo attraversano  altro abbandono con aree sommerse dall’immondizia e infine il teatro del Parco di Tor Tre Teste, troppo sottoutilizzato per via di un’impiantistica inadeguata. Il walkabout rileva quindi criticità ma al contempo rilancia l’opportunità di uno sguardo partecipato messo in gioco da comunità territoriali che non aspettano altro che di essere ascoltate per contribuire alla valorizzazione di un Bene Comune.

report video di VieVerdi di questo walkabout (è una playlist con quattro sessioni video tematizzate)

Il mattino dopo, sabato 18,  sono a Tor Carbone, in Cava Fabretti, uno dei luoghi più selvatici di Roma, il loro covo preferito.  Ne hanno fatti talmente tanti di walkabout in quel contesto che gli sembra retorico ripetere le stesse impressioni…ma non è così. Qui tornano a riflettere sull’essenza del walkabout che è il contrario di una visita guidata dato che si basa su un’esplorazione psicogeografica (ispirata dai Situazionisti ma scaturita da una sensibilità archetipica, ed è per questo che s’usa un termine proprio della cultura aborigena). In più il walkabout è una conversazione radiofonica, tant’è che lo chiamano anche la radio che cammina. Stanno trattando di qualcosa che è il grado zero del site specific, a monte di qualsiasi processo performativo da allestire in contesti diversi, sarebbe significativo considerare quando hanno lanciato progetti come Lo Spettacolo della Città rivelando come i luoghi non siano solo contenitori ma contenuti (e forme). Una linea di ricerca che ha avuto un suo start nel 1988 a Narni con Scenari dell’Immateriale.  A proposito di Cava Fabretti si rimanda al report emblematico di alcune azioni realizzate per il Festival delle Periferie e poi va detto che ci sono degli squarci di realtà fenomenali: come quelle radici di eucalipto che sfondano una grotta (un tunnel di scavo della pozzolana) rimanendo sospese nell’aria. Per il progetto Paesaggi Umani è stato importante tornare per registrare con Giorgio Fabretti (discendente del Monsignor Raffaele Fabretti, Principe  delle Romane Antichità che nel Seicento fondò l’Arcadia) alcuni altri geopodcast e quindi predisporre una mappatura ancora più accurata della Cava Fabretti nel nostro geoblog.

Nel pomeriggio di sabato sono alla Cooperativa Case Tramvieri in cui ricompongono le tante storie di quel complesso (che non è un condominio visto che si basa sul principio della “proprietà indivisa”) rievocando la genesi di un’esperienza pioniera di mutualità cooperativa che dal 1908 ha attraversato due guerre mondiali. Un comprensorio abitativo, inaugurato dal sindaco Nathan, che esprime una particolare valenza civica: per decenni nelle sue bacheche c’erano i quotidiani L’Avanti e L’Unità e tutt’oggi ha dei locali usati come bene comune in cui svolgere attività culturali, sale studio e coworking. Nella conversazione radionomade si muovono tra i 13 fabbricati divisi in due lotti separati da Via Orvieto dove c’è uno dei mercati rionali più vecchi, sorto proprio in prossimità di quel comprensorio dato che la clientela dei tranvieri esprimeva, con il loro stipendio fisso, un buon volume di consumo garantito.

Osservano con quello sguardo partecipato proprio dei walkabout alcuni dettagli come le belle canne fumarie che servivano i forni dei panettieri e i resti di una scritta del ventennio fascista che recitava “Credere, obbedire…”. E’ un percorso nella memoria condivisa da vari esponenti della cooperativa tra cui Maria Bassetti, Rossela Palaggi e il presidente Maurizio Campagnani che sentiamo al telefono, in una modalità assolutamete funzionale alla nostra conversazione radiofonica errante, trattando  infine dei bombardamenti subiti nell’agosto del 1943 che distrussero uno dei fabbricati.
E’ proprio nello spazio prossimo a quell’edificio che appena si fa un po’ di buio si svolge la performance con videoproiezioni nomadi di NuvolaProject La voce dei giorni feriti. I bombardamenti del 1943 nelle visioni di Vespignani. Parte una sirena antiaerea e subito dopo il rumore delle bombe. L’attrice-autrice Gaia Riposati dà corpo e voce  al diario visionario del grande artista Renzo Vespignani, testimone diretto di quei bombardamenti che segnarano la fine dell’idea di Roma Città Aperta, dissolvendo l’illusione di essere protetti dallo scudo papale. Quelle parole si combinano ai suoi disegni, in un intreccio dove l’arte diventa documento e rivelazione. Quel diario e quei disegni appaiono come schegge di un tempo di guerra che sembrava lontano eppure oggi riemerge vicino e ostile. Le proiezioni curate da Massimo Di Leo aprono varchi di luce nella materia urbana: visioni disegnate sui muri di quel cortile, tra le finestre, come apparizioni improvvise di una memoria che ci inquieta come un monito in un tempo ferito da nuovi bombardamenti e genocidi. Dopotutto trattiamo di Memoria Rigenerativa cercando di dare forma web (con i geopodcast) alle testimonianze da trasmettere alle nuove generazioni.

E’ ciò che stanno facendo con il progetto Paesaggi Umani di Roma Plurale che il 7 novenbre alla Casa del Quartiere di Villa Fiorelli (vedi il programma nel link) avrà un momento di screening del geoblog con la mappatura delle memorie raccolte. Fino ad ora il progetto ha avuto più di 470 partecipanti (nella somma ci sono anche quelli trattati nel primo report e nel secondo report, dove sono linkati anche i video di VieVerdi) e più di 63 uscite sui media (non stiamo contando quelle sui social! e neanche i report), tra queste una significativa intervista su Exibart.

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